sexta-feira, 13 de março de 2009

sexta-feira, 6 de março de 2009

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Posted by Picasa

POESIA CONTEMPORANEA

Inizierò questo blog, proponendo a chi vorrà aderire, alcune poesie che ritengo realmente valide, ovvero dotate sia sul piano lirico, sia su quello tecnico e della "capacità di comunicare", sfuggendo alla mediocrità di molta pseudo-poesia autoreferenziale. Uno dei contemporanei a mio modo di vedere più validi è Roberto Pazzi, di cui propongo le seguenti poesie:

Nevicata dal treno sulla pianura padana

Sotto la terra bianca come il cielo
c'è il mio pane della gratitudine per la via percorsa, per i temuti pericoli,
le paure e le lunghe attese che svanirono
consumate tutte a poco a poco,
le carte del mazzo tenute nelle mani,
ormai già tutte in ordine sul tavolo,
una mano già nuda.
Quel paesaggio sono io,
assaporo la panoramica dall'alto
di me così piccolo diventato grande,
restano solo poche stazioni,
posso guardarmi attorno con calma,
perdere tempo, ne ho vissuto tanto,
a ripensare tutto quel bianco
che oggi mi abbacina gli occhi:
il mondo con la mia vita dentro
mi aspettava a occhi chiusi.
E chiudendoli così s'assapora
d'un nuovo amore il bacio,
da una bocca bella e tremante.

Il mio niente

Oggi verrei a casa tua,
farei questo lungo viaggio
solo per infilare questi versi
nella fessura sotto la porta,
non potrei rompere
il divieto di rivederci.
Niente, vorrei dirti,
solo questo niente.
Fu detto già tutto.
Da quando ci siamo separati
sopravviviamo,
siamo la rovina di quel tempo.
Ma questo mio niente dopo di te
mi sostiene e si rafforza,
cresce bene con gli anni,
si fa grande, muta la voce,
non vuole più stare con me,
esce sempre più spesso
a cercare altro niente,
inutilmente bello come fui.
I nostri occhi han fissato il sole,
non guardano più,
ricordano di aver visto.
A che servirebbe rivederti ?
Perderei il mio niente.
Di tutte le cose che potevo fare
ho sempre scelto una sola,
monco di troppe vite non fatte
tu sei il Niente che mi ha scelto.
E ti appartengo sempre.

Da un belvedere della val di Magra

Una volta, io lo so,
qui c'è stata la gioia.
L'aria ne trema ancora.
Ancora non si è spento lo stupore
della valle
a vedersela un giorno andar via.


Anche di Umberto Piersanti ho trovato una poesia carina, la seguente (dedicata al figlio malato):

Dopo Natale

spente le luminarie
l'ultima che risplende
a fianco dello scivolo,
bassa sul mare

sei cresciuto Jacopo
dall'altro anno,
ma i giochi e lo sguardo
sono gli stessi,
figlio, il tempo non ti riguarda
il cerchio delle luci
le feste ora passate
la luna di gennaio
ch'esce più tardi

delle tronche parole
senza storia,
della corsa priva di compagni
solo ti ricompensa il tempo
fatto eterno

per noi si spengono le luci
dopo le feste,
come la neve bianca
grigia si scioglie
sull'asfalto

Tre poesie (Milo De Angelis)

Milano era asfalto, asfalto liquefatto. Nel deserto
di un giardino avvenne la carezza, la penombra
addolcita che invase le foglie, ora senza giudizio,
spazio assoluto di una lacrima. Un istante
in equilibrio tra due nomi avanzò verso di noi,
si fece luminoso, si posò respirando sul petto,
sulla grande presenza sconosciuta. Morire fu quello
sbriciolarsi delle linee, noi lì e il gesto ovunque,
noi dispersi nelle supreme tensioni dell’estate,
noi tra le ossa e l’essenza della terra.

*

Non è più dato. Il pianto che si trasformava
in un ridere impazzito, le notti passate
correndo in Via Crescenzago, inseguendo il neon
di un’edicola. Non è più dato. Non è più nostro
il batticuore di aspettare mezzanotte, aspettarla
finché mezzanotte entra nel suo vero tumulto,
nella frenesia di tutte le ore, di tutte le ore.
Non è più dato. Uno solo è il tempo, una sola
la morte, poche le ossessioni, poche
le notti d’amore, pochi i baci, poche le strade
che portano fuori di noi, poche le poesie.

*

Tutto era già in cammino. Da allora a qui.
Tutto il tempo, luminoso, sfiorava le labbra. Tutti
i respiri si riunivano nella collana. Le ombre
di Lambrate chiusero la porta. Tutta la stanza,
assorta, diventò il primo battito. Il nero
dei tuoi capelli contro il giallo dell’ultimo raggio.
Da allora a qui. Era il primo giorno dell’estate.
Il silenzio ci riempiva la fronte. Tutto era
già in cammino, da allora, tutto era qui, unico
e perduto, nostro e remoto, ardente. Tutto chiedeva
di essere atteso, di tornare nel suo vero nome.


E ora, una mia:

Giorni a venire

Ecco, vedi, anche i nomi ci lasciano
con i volti e le parole, e ogni cosa
torna indietro, dove tutto è cominciato,
in quel guscio vuoto che era il cielo
prima del nostro arrivo;
così alla fine, la nostra sconfitta
è la nostra vittoria, una fine
che diventa inizio, un nuovo principio:
la tabula rasa dei giorni a venire
aperti come le braccia di una madre
che attende di vedere il proprio figlio.